Cultura, apprezzamenti per il libro di don Gaetano Maria Saccà sul processo matrimoniale. La tesi introduttiva dell’opera letteraria

By febbraio 26, 2019Jenne news

Jenne 26 Feb 2019 – Forti apprezzamenti sta facendo riscontrare nel panorama culturale e nel mondo ecumenico,  l’opera letteraria di cui è autore Don Gaetano Maria Saccà, parroco di Jenne. Il titolo è: “Il Vescovo e il processo matrimoniale alla luce dl Motu Proprio – Mitis Iudex Dominus Jesus” e si tratta di un profilo storico-giuridico che analizza in profondità il motu proprio di Papa Francesco. Scottante attualità sulla quale don Saccà ha voluto porre la lente di ingrandimento mettendo in correlazione quanto raccolto a livello di ricerca storica con le nuove normative su un argomento che è il pilastro fondante della famiglia cristiana: il matrimonio. Don Saccà ha iniziato sin dalla promulgazione del Motu Proprio firmato nel settembre 2015 ad avvertire la necessità di un approfondimento che vuole essere un servizio alla dottrina cristiano-cattolica, per fornire spunti di ulteriore analisi ed approfondimenti.

 

 

Se ne è parlato anche sulla stampa cattolica nazionale.  Sulle colonne di Avvenire,  è intervenuto il prelato uditore del Tribunale della Sacra Rota Romana Adam  Konštanc Miroslav già  rettore della Pontificia università “San Tommaso d’Aquino” (Angelicum) dal 2012 al 2016 che lo ha definito uno studio “serio, profondo e con valenza scientifica”.

“Nel mio ruolo di dottorando – spiega don Gaetano Maria Saccà nella tesi di presentazione dell’opera –  non ho certo la pretesa che il presente lavoro sia esauriente, ma mi auguro, almeno, che possa offrire un contributo alla dottrina. Ricordiamo che tutti gli autori citati hanno mantenuto un atteggiamento di rispetto e prudenza verso la nuova normativa. Atteggiamento al quale mi sono conformato.

La difficoltà maggiore che ho dovuto affrontare è stata dovuta al fatto che gli scritti dottrinali sono ancora esigui e spesso gli autori utilizzano la forma verbale al condizionale, in attesa che il tempo e lo svolgimento di un crescente numero di processi brevi possa rendere più sicure determinate affermazioni. Al presente già diversi sono stati i processi brevi celebratisi, di cui alcuni sono stati inviati al processo ordinario. Non abbiamo notizie di processi brevi conclusisi e impugnati. Nei lavori dottrinali continuano a destare non poche perplessità alcuni aspetti procedurali. Riteniamo che ciò sia nell’ordine delle cose e la Chiesa abbia gli strumenti per dissiparle. A riguardo dobbiamo obbedire alla volontà del Pontefice che così si è espresso: “E’ importante che la nuova normativa sia recepita e approfondita, nel merito e nello spirito, specialmente dagli operatori dei Tribunali ecclesiastici, per rendere un servizio di giustizia e carità alle famiglie”.

Il 15 agosto del 2015 è stato firmato e l’8 settembre del 2015 è stato pubblicato il nuovo processo di nullità matrimoniale, promulgato dal Santo Padre Francesco per mezzo della lettera apostolica in forma di “Motu proprio”: il Mitis Iudex Dominus Iesus per la Chiesa latina (d’ora innanzi MIDI) e il Mitis Misericors Iesus per le Chiese orientali. Il giorno dell’Immacolata Concezione dello stesso anno, il Sommo Legislatore ha abrogato con l’entrata in vigore dei due motu propri, 21 canoni del vigente Codice di diritto canonico (1671-1691) e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Immediatamente il mio interesse, dovendo, io, svolgere un lavoro di ricerca dottorale, fu indirizzato al motu proprio riguardante la Chiesa Latina. Come parroco, – prosegue don Gaetano Maria Saccà – infatti, in 22 anni di ministero pastorale, sempre più spesso, stante il crescente numero di criticità coniugali, ho dovuto e debbo confrontarmi con fedeli, che, vivendo situazioni matrimoniali irregolari (i divorziati risposati) o di mera convivenza con un nuovo partner (quella dei separati o divorziati, ma non risposati), palesano il loro malessere poiché non possono vivere pienamente la comunità ecclesiale.

Tra le diverse limitazioni, – spiega don Saccà –  la sofferenza più acuta (da me condivisa con questi fedeli) è quella che mi vede costretto (tranne alcune eccezioni, singolarmente valutate) a non poterli ammettere al sacramento dell’Eucarestia. Con la promulgazione del MIDI è nato in me il desiderio di approfondirne i canoni, poiché, almeno nelle intenzioni, parrebbero essere stati rimossi molti ostacoli all’accesso e allo svolgimento dei processi di nullità matrimoniale, anche e soprattutto grazie al coinvolgimento in prima persona dei Vescovi, indirizzando la mia attenzione sul ruolo che rivestirà il Vescovo diocesano. Il Papa ci ha fornito un “Nuovo Codice Matrimoniale” e i canoni in esso contenuti, dovranno essere studiati e valutati, obbedendo alla volontà del Pontefice che così si è espresso: “È importante che la nuova normativa sia recepita e approfondita, nel merito e nello spirito, specialmente dagli operatori dei Tribunali ecclesiastici, per rendere un servizio di giustizia e carità alle famiglie”.

LA STRUTTURA DEL LIBRO

Il nostro lavoro è strutturato in tre capitoli. Nel primo capitolo abbiamo compiuto una ricerca, attraverso una periodizzazione estremamente sintetica e non sistematica, sull’origine e sviluppo nella declinazione storica e non teologica del solo esercizio di giurisdizione dei Vescovi in ambito processuale. In questa breve cronologia si può affermare che  la giurisdizione ecclesiale ha mantenuto un suo ruolo, anche dopo la caduta dell’impero romano e il Vescovo continuerà ad essere centrale nell’organizzazione della giustizia ecclesiastica, spesso supplente a quella secolare anche in epoca medioevale, favorita dal fatto che le materie ecclesiastiche, per una non netta distinguibilità tra ordine spirituale e secolare, non di rado si estendono in ambiti che oltrepassano propriamente le cause spirituali (si pensi alla connessione di queste ultime con le cause penali, materiali etc.).

Per tale ragione, abbiamo riferito circa le attività poste in essere dal Giudice-Vescovo, agli interventi legislativi (ecclesiali e civili) che lo hanno riguardato e a tutto quanto giuridicamente, abbiamo ritenuto utile menzionare nell’intento di evidenziare, attraverso la nostra ricerca, l’enorme rilevanza che nel corso dei secoli la figura dell’Episcopo (anche nella sua estrinsecazione di giudice-Vescovo) ha avuto in ed extra ecclesiam e come la sua autoritas sia stata “universalmente” riconosciuta. L’attività giurisdizionale dei Vescovi fino agli inizi del IV secolo trae principale fondamento nel precetto paolino e riguarda la sola comunità cristiana. La prima lettera ai Corinti è un documento di straordinaria importanza. L’apostolo Paolo sapendo di dover dare una risposta concreta, una soluzione accettabile giunse alla conclusione che i cristiani dovessero far giudicare le loro controversie da un sofos (saggio) appartenente alla loro comunità. Il precetto paolino è chiarissimo: i cristiani devono in primo luogo evitare di avere liti tra loro e qualora, malgrado tutto, ne sorgano devono astenersi dal portare le loro controversie davanti ai giudici di tribunali pagani, affidando la decisione ad un saggio, che sia membro della loro comunità e accettarne la sentenza anche quando essa comporti per loro qualche sacrificio. In esso si ha la manifestazione del potere legislativo che Cristo aveva conferito agli Apostoli insieme con il potere giudiziario e con quello esecutivo per l’adempimento della loro missione di rettori della Chiesa e di pastori dei fedeli. Entro la Chiesa, società perfetta, essi esercitavano una vera ed effettiva giurisdizione. La diffusione della fede cristiana e il trascorrere del tempo, che scandiva il passaggio da una generazione all’altra, resero necessaria la redazione scritta di quei principi e di quelle norme che in un primo tempo erano stati trasmessi oralmente.

La Didascalia apostolorum rappresenta senza ombra di dubbio la fonte canonica più importante circa l’attività giurisdizionale del Vescovo-Giudice dei primi tre secoli. Il Tribunale è presieduto dal Vescovo stesso al quale si affiancano i suoi presbiteri e diaconi (assistenti). Il Vescovo-Giudice rende giustizia a chi ha subito un torto e contestualmente sollecita il pentimento del reo. Benché non riconosciuto dalle autorità civili, per i cristiani rappresenta un foro (moralmente obbligante per controversie sorte tra essi) concorrente ai tribunali civili. Con l’imperatore romano, Costantino, l’attività giurisdizionale Vescovile diviene predominante. Nonostante la caduta dell’impero romano d’occidente, durante il quale si erano distinte le figure dei Vescovi-Giudici: Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, la Chiesa e le sue istituzioni sopravvissero e si rafforzarono grazie anche all’autorevolezza e grandiosità di uno dei suoi figli più influenti: San Gregorio. Nei quattordici anni di pontificato a cavallo dei secoli VI-VII, egli dà all’amministrazione ecclesiale della giustizia terrena un’organizzazione piramidale al cui vertice v’è il Tribunale del Papa e alla base, inframezzato dal Tribunale metropolitano e sinodale, v’è quello Vescovile.

Nei secoli successivi la potestas iudicialis episcopalis resta integra lungo tutto il Medioevo benché sia prevalentemente delegata dal Vescovo al decano, all’arcidiacono o ad altri chierici inferiori che costituivano il Tribunale Vescovile, quale uno dei momenti di una più articolata e stratificata giustizia ecclesiastica. La centralità della figura del Vescovo (iudex natus) si concreta in ambito giudiziale anche quando non esercita personalmente la funzione di giudice. La sottile linea rossa che dalle origini ha sempre visto il Vescovo figura cardine nei procedimenti giudiziali non si è mai interrotta: il Tribunale Vescovile rappresenta sin dalle origini della Chiesa la porta d’accesso alle istanze di giustizia. Pertanto, il MIDI, quantunque abbia suscitato molto clamore (in Ecclesia ed extra Ecclesiam), “ricolloca”, il Vescovo (iudex natus) nell’alveo naturale che ontologicamente gli appartiene e in piena armonia con la bimillenaria tradizione ecclesiale, riconoscendogli e confermandogli quelle funzioni e competenze anche in ambito processuale matrimoniale che gli sono proprie.

Il secondo capitolo lo abbiamo suddiviso in due parti con una connotazione maggiormente teologica e giuridica. Nella prima parte abbiamo incentrato la nostra attenzione al Concilio Vaticano II che tratta dell’origine divina della potestas iudicialis del Vescovo (iudex natus) e conformemente alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della Chiesa, afferma che i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare le leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene all’apostolato (cfr. LG 27). Il Vescovo diocesano ha quindi nella sua Chiesa particolare la piena potestà giudiziale. Questo potere gli deriva, come ricorda Papa Francesco nella lettera apostolica Mitis Iudex Dominus Iesus, dal potere delle chiavi che il Signore ha affidato a Pietro e ai suoi successori per svolgere l’opera di giustizia e di verità nella Chiesa.

È certo che il Vescovo diocesano ha il diritto-dovere, in forza delle leggi di Dio, di giudicare coram Domino i propri fedeli. Per tale ragione il Vescovo diocesano viene chiamato nella sua diocesi iudex natus. Accanto alla connotazione unitaria dell’autorità e della sacra potestà dei Vescovi, il decreto Christus Dominus, richiama la distinzione delle funzioni nella triplice articolazione del munus docendi, sanctificandi et regendi. Il Vescovo è rivestito del munus di Cristo sacerdote, maestro e pastore. A lui spetta nella sua Chiesa l’omnis potestas richiesta dall’ufficio pastorale: ordinaria, propria e immediata. La consacrazione episcopale e la missio canonica sono fonti di questa potestas che il Vescovo esercita nella sua Chiesa a nome di Cristo e non come vicario del Romano Pontefice (cfr. LG 27). Il Romano Pontefice con la sua suprema autorità, non sopprime né diminuisce, ma rafforza e garantisce la potestà episcopale. L’origine della potestà è infatti Cristo, non il Romano Pontefice. Il Concilio ha voluto sottolineare l’origine ontologico-sacramentale della potestas, rimarcandone l’unità. Il Vescovo è legislatore nella diocesi (in modo esclusivo senza possibilità di delega). La funzione esecutiva e giudiziale viene esercitata dal Vescovo sia personalmente sia mediante altre figure. Inoltre: in forza della potestà, coloro che sono stati costituiti in autorità ecclesiale: Romano Pontefice, Concilio Ecumenico a livello universale, il Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli[4], godono personalmente della potestà di giudicare, hanno cioè giurisdizione riguardo i propri sudditi. La potestà giudiziaria spetta al Vescovo diocesano che, assieme al Romano Pontefice, è il giudice naturale, strictu sensu, della Chiesa. L’origine divina, la comunione e la missione ecclesiale caratterizzano la potestà episcopale rispetto a quella esercitata in ogni altra società umana. Nella Chiesa vi sono diversi tipi di tribunali: per diritto divino hanno potestà di giudicar  il Romano Pontefice e i Vescovi diocesani (sono essi stessi Tribunale). Da essi dipendono i tribunali apostolici, i tribunali regionali, interdiocesani ed alcuni tribunali speciali.

Abbiamo spesso ribadito che il Vescovo è iudex natus perché tale questione è centrale nella nostra ricerca dottorale. Ricerca volta a dimostrare al lettore in maniera chiara ed esaustiva, se mai ve ne fosse bisogno, che l’esercizio della funzione giudicante del Vescovo è semplicemente stata riscoperta. Ricordiamo, infatti, che fino al 1938 il concetto di potestas iudicialis conferita dal Vescovo ad altro Tribunale rispetto al proprio era ignorato nella legislazione e nella dottrina canonistica, anche se durante l’iter di codificazione del CIC 1917 viene proposta l’introduzione dei tribunali regionali alfine di alleggerire il lavoro del Tribunale apostolico dell’allora Sacra Rota Romana. Fu Pio XI con il motu proprio Qua Cura a creare per il solo territorio italiano i tribunali regionali per la trattazione delle cause matrimoniali: le ragioni erano dettate dalla gravità della situazione. La potestà giudiziale del Vescovo, per le sole cause matrimoniali, viene così demandata ad un altro Tribunale.

Nella seconda parte del secondo capitolo abbiamo investigato gli iura et officia in ambito processuale matrimoniale del Vescovo: dal CIC 1917 fino al periodo immediatamente precedente la promulgazione del MIDI, seguendo un metodo storico-giuridico e analitico. Segnatamente va ricordato che le indicazioni riguardanti il Vescovo contenute nei canoni codiciali modificati dal MIDI si collocano non tanto sul piano procedurale quanto su quello organizzativo e delle determinazioni di fondo dell’attività giudiziaria dettate dall’Art. 1 – Il foro competente e i tribunali, can. 1673 MIDI. Il summenzionato canone rappresenta un’assoluta novità rispetto alla normativa contenuta nel CIC 1983. Il § 1 ripropone, con poche varianti legate alla materia specifica dei giudizi di nullità matrimoniale, la disposizione del can. 1419 § 1 circa il fatto che, in diocesi, il giudice nato è il Vescovo, potendo esercitare tale potestà personalmente anche nei processi matrimoniali ordinari. I paragrafi successivi del can. 1673 MIDI, afferiscono l’esistenza e le modalità operative del Tribunale diocesano per le cause di nullità di matrimonio. Il § 2 chiede di costituire in diocesi il Tribunale diocesano in perfetta sintonia con le statuizioni del MIDI. Il Vescovo ha il diritto di erigerlo. A tale riguardo, vi sono indicazioni precise per il territorio italiano, nel testo della C.E.I. del 20 luglio 2016:

“• Il Motu Proprio prevede che il “Vescovo costituisca per la sua diocesi il Tribunale diocesano per le cause di nullità del matrimonio, salva la facoltà per lo stesso Vescovo di accedere a un altro viciniore Tribunale regionale o interdiocesano” (can. 1673, § 2). Il Vescovo che intende recedere dal Tribunale regionale o interdiocesano di appartenenza lo comunica agli altri Vescovi interessati e al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. La Segnatura verifica e attesta la sussistenza delle condizioni per un adeguato funzionamento delle strutture giudiziarie. Anche nelle diocesi più piccole, il Tribunale diocesano deve avere almeno un giudice chierico, un difensore del vincolo e un notaio.

  • La costituzione dei tribunali interdiocesani all’interno della stessa Metropolia è libera, con comunicazione alla Segnatura Apostolica. La costituzione dei tribunali interdiocesani costituiti da diocesi appartenenti a Metropolie o Province ecclesiastiche differenti richiede la licenza della Segnatura Apostolica.
  • Nel caso di recesso dal Tribunale regionale di una o più diocesi, i Vescovi che intendano continuare ad avvalersi del medesimo Tribunale emettono un decreto di erezione della nuova istituzione, approvandone il regolamento e cambiandone la denominazione (da regionale a interdiocesano).
  • Si intende abrogato il can. 1439, § 1 circa la competenza della Conferenza Episcopale in tema di tribunali di seconda istanza”.

 

Se già operante o in vista di una futura erezione del Tribunale diocesano, resta per il Vescovo il dovere di formarne l’organigramma. Il § 3 non riguarda direttamente il Vescovo. Esso prevede come possibilità che il collegio giudicante, fatto salvo che il preside deve sempre essere un chierico, possa essere composto da due laici,  Il § 4 disciplina la possibilità di affidare le cause a un giudice unico chierico. Per quanto attiene il Vescovo e il Tribunale di seconda istanza, al presente, con la promulgazione del MIDI e conseguente adeguamento della C.E.I. con “Il testo, frutto del Tavolo di lavoro del 20 luglio 2016 della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA” sono state apportate sostanziali modifiche ai canoni concernenti i tribunali di seconda istanza (can. 1673 MIDI).

Per il territorio italiano, la C.E.I., adeguandosi alla volontà del Pontefice, ha statuito che:

“• Si intende abrogato il can. 1439, § 1 circa la competenza della Conferenza Episcopale in tema di tribunali di seconda istanza.

Al terzo capitolo, infine, è stata lasciata la disamina dei nuovi e specifici iura et officia del Vescovo nel processus brevior, così fortissimamente voluti dal Legislatore Supremo con il MIDI. Le conclusioni alle quali siamo potuti pervenire sono dovute alle disposizioni contenute nel MIDI, ai Documenti e alle Dichiarazioni successive. In particolare l’ultima dichiarazione del Papa del 25 novembre 2017, atta a chiarire definitivamente alcuni aspetti de iure condendo.

Li ricordiamo in ordine cronologico:

  • Dichiarazione del Decano della Rota Romana circa la mens del Supremo Legislatore, 4.XI.2015, pubblicata in L’Osservatore Romano.

2) PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Risposte particolari.

  • Papa Francesco, Rescritto, 7.XII.2015: “Le leggi di riforma del processo matrimoniale succitate abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica (come ad es. il Motu Proprio, Qua Cura, dato dal mio Antecessore Pio XI in tempi ben diversi dai presenti)”.
  • Il Sussidio applicativo del Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus del TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo del Motu Pr. Mitis Iudex Dominus Iesus, Città del Vaticano, 2016. Papa Francesco, affinché possa esservi una corretta applicazione del MIDI ha richiamato tale Sussidio applicativo nel Proemio del Suo Rescritto del 7.XII.2015, indicandolo quale contributo offerto: “…alla formazione permanente degli operatori pastorali nei Tribunali delle Chiese locali”…(FRANCISCUS, Rescritto, Proemio, 7.XII.2015, in vatican.va e in Ius Ecclesiae 28, 1 [2016] 233).
  • Lettera di Papa Francesco al Segretario C.E.I. (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA) del 1.06.2016.
  • Comunicato C.E.I. del 19 luglio 2016
  • Il testo, frutto del Tavolo di lavoro del 20 luglio 2016 della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
  • Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana del 12 marzo 2016
  • Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al corso di formazione per i Vescovi sul nuovo processo matrimoniale del 18 novembre 2016.
  • Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana del 25 novembre 2017

Il Vescovo diocesano, alla luce della nuova normativa matrimoniale nel processo ordinario, essendo iudex natus, potrà sempre esercitare personalmente la funzione giudiziale, nei modi previsti dalla legge. Ma è nel processus brevior che non solo egli potrà, ma in alcune fasi dello stesso, dovrà, ad validitatem, esercitare personalmente la funzione giudiziale. Possiamo rappresentare allegoricamente il processo matrimoniale brevior con la forma di una piramide, alla cui base e al cui vertice vi è sempre il Vescovo diocesano.

Compete infatti al Vescovo diocesano:

  • nella fase pregiudiziale, provvedere a fornire strutture, possibilmente diocesane, curare la formazione di persone preposte a tale delicatissima funzione di accoglienza dei fedeli che hanno alle spalle un matrimonio fallito, affinché tale servizio pastorale sia efficace anche sotto un profilo giuridico (in verità tale fase di accoglienza e ascolto è propedeutica a tutti i potenziali processi matrimoniali);
  • valutare personalmente o con l’ausilio del vicario giudiziale o di persona quantomeno vere peritus in diritto matrimoniale, il libello (o domanda) con il quale è stata richiesta la nullità matrimoniale. In caso di vedute difformi tra l’eventuale vicario giudiziale (del Tribunale diocesano, interdiocesano o regionale) ed il Vescovo diocesano, circa l’ammissione al processo ordinario o quello brevior, al Vescovo diocesano spetterà la decisione ultima.
  • L’istruttoria del processo brevior potrà essere curata personalmente dal Vescovo diocesano, sempre, però, coadiuvato dal vicario giudiziale o da un istruttore e da un assessore (con funzione di consigliere), presenti il difensore del vincolo ed il notaio.
  • Ladecisione da pronunciare coram Domino, è sempre e solo del Vescovo diocesano. Due, infatti, sono le condizioni sine qualibus non solo non potrà esservi un pronunciamento giudiziale valido, ma addirittura non potrà nemmeno avviarsi il processo brevior. Esse sono: l’episcopato l’essere capo di una comunità diocesana.). Se manca una delle due condizioni il processo breviore non può aver luogo. L’istanza deve essere giudicata con il processo ordinario. “4. La competenza esclusiva e personale del Vescovo diocesano, posta nei criteri fondamentali del processo breviore, fa diretto riferimento alla ecclesiologia del VaticanoII, che ci ricorda che solo il Vescovo ha già, nella consacrazione, la pienezza di tutta la potestà che è ad actum expedita, attraverso la missio canonica

La certezza morale. Per quanto attiene la certezza morale se ne occupa l’art. 12 del MIDI. Sia il processo ordinario che quello breviore sono processi di natura prettamente giudiziale, il che significa che la nullità del matrimonio potrà essere pronunciata solo qualora il giudice consegua la certezza morale sulla base degli atti e delle prove raccolte. Tenuto conto della specificità del processus brevior che prevede l’intervento personale del Vescovo diocesano, il quale, in assenza della certezza morale esigita, non può emanare una sentenza negative, rinviando, invece, al processo ordinario l’accertamento della validità del vincolo matrimoniale, riteniamo che vengano superati gli inviti formulati, in varie epoche, dal CIC 1917, dai consultori del CIC 1983, dalla Dignitas connubi e le perplessità della dottrina circa l’intervento personale del Vescovo in ambito processuale matrimoniale. Ricordiamo anche che sia si tratti di processo ordinario che breve, tranne che nel caso di appello, è stato abolito l’obbligo della doppia decisione conforme, il tutto in una prospettiva di economia processuale.

Al termine del presente lavoro, desidero innanzitutto ringraziare il Signore per avermi chiamato alla vita attraverso i miei genitori, e in essa per il dono del Sacerdozio: oggi essi, dalla “finestra del cielo” gioiscono con tutti noi per questo traguardo raggiunto.

E’ doveroso ringraziare: il Vescovo della mia Diocesi di Tivoli Mons. Mauro Parmeggiani per avermi dato l’opportunità di proseguire gli studi in Diritto Canonico; il Moderatore prof. Miroslav K. Adam, O.P., che con la sua preparazione ed esperienza accademica – già rettore della PUST-, durante tutto il tempo della stesura della tesi, mi ha incoraggiato, sostenuto e accompagnato lungo i meandri della scienza e della conoscenza giuridica, facendomi apprezzare ogni giorno sempre di più, quanto oggi sia importante lo studio per meglio essere a servizio nella Chiesa; Mons. Dr. Alejandro W. Bunge – uditore della Rota Romana – quale esperto del tema di cui trattasi la presente tesi dottorale, per averne accettato il ruolo di Censore, e professionalmente curatone la correzione; non da ultimo il prof. Michael Karragher Decano della PUST ed i docenti della facoltà di Diritto Canonico che in questi anni hanno curato la mia formazione giuridica, fino ad arrivare alla discussione della tesi dottorale. Infine  – conclude don Saccà – voglio ringraziare quanti in questo tempo mi sono stati vicini in modo fraterno sostendomi e incoraggiandomi.”

AD MAIOREM DEI GLORIAM MMXIX